IL MANIFESTO DEL NOSTRO TEATRO



In un mondo che ama le etichette, pure a noi qualcuno cerca di appiccicarcene una… Visto che l’accanimento rischia di farsi fuorviante, tentiamo un chiarimento.

Il teatro moderno occidentale viene identificato sotto la denominazione comune di “teatro di prosa”. Che si mettano in scena i classici, che si faccia teatro d’avanguardia o che si aderisca al cosiddetto terzo teatro, tutto viene fatto rientrare in un unico calderone.

Diciamo quindi subito che noi non stiamo nel calderone.

Se proprio dovessimo definire la nostra espressività scenica, diremmo che fa parte del “teatro di poesia”. Per contrapposizione, e non solo.

Notiamo anzitutto che per noi non esiste un effettivo divario tra Oriente e Occidente. Ci consideriamo figli della grande civiltà indoeuropea, che ingloba in sé tutte le varie e affascinanti culture formatesi all’interno dell’intera area euroasiatica, le quali rappresentano ai nostri occhi svariate sfaccettature dell’unica, la cui diversificazione le conferisce un ulteriore arricchimento. Unità nella diversità è il nostro motto.

Inoltre, non siamo per nulla inclini a considerare il “teatro di prosa” con superiorità né, tanto meno, con disprezzo. Semplicemente, dichiariamo la nostra sostanziale divergenza dai suoi stilemi.

Ammiriamo il cosiddetto “teatro classico” (ovvero, di quanti si adoprano nella rivisitazione delle grandi e immortali drammaturgie dell’antichità, da Eschilo a Plauto, a Shakespeare, a Molière, a Calderón, a Goethe...).

Apprezziamo pure gran parte delle istanze ispiratrici delle varie correnti del cosiddetto “teatro d’avanguardia” (altrimenti noto come “teatro sperimentale o di ricerca”): dallo sforzo del teatro futurista nel tentare di sottrarre la rappresentazione scenica a volgari fini commerciali, alla volontà del teatro espressionista di indurre lo spettatore a mettersi in discussione, all’esplorazione compiuta dal teatro dell’assurdo verso forme espressive libere dal rigido linguaggio della ragione, all’analisi critica della società compiuta dal teatro epico e il suo conseguente obiettivo di indurre nello spettatore una coscienza critica, invitandolo al ragionamento attivo e a una presa di posizione (non solo politica).

E siamo oltremodo stimolati dal cosiddetto “terzo teatro” che, da Grotowski ai giorni nostri, vuole farsi promotore di una autentica rigenerazione che parta dall’interno e si propaghi verso l’esterno.

Cerchiamo, nei limiti del possibile, di accorpare nel nostro teatro quanto di meglio ci è dato cogliere da tutte queste espressioni teatrali e, tuttavia, la nostra arte performativa non intende affatto essere un tentativo meramente eclettico, e rifuggiamo categoricamente qualunque forma di sincretismo.

Il nostro è un teatro di poesia, dicevamo. E per noi, la poesia, in teatro, si esprime su due livelli interconnessi e fusi:

  1. la poesia del testo drammaturgico;
  2. la poesia delle azioni fisiche.

Ne consegue che noi prendiamo in considerazione unicamente testi di poesia drammatica: la parola ritmica ci appare l’unica in grado di dare vita al nostro modo di stare in scena e di tentare di esprimere la bellezza (non è forse questa la massima dea adorata da tutti gli artisti?). Ma in teatro, per noi, il verbo poetico si trova indissolubilmente e fascinosamente intrecciato alla poesia del corpo degli attori (come pure di tutti gli altri artisti performativi con cui lavoriamo: danzatori, cantanti e strumentisti, mimi…), sia presi singolarmente, sia nella loro indispensabile coralità.

Per concludere, sottolineiamo come in questo nostro impegno abbiamo sempre avuto (e sempre avremo) la massima cura di tenerci alla larga da ogni tentativo di istituzionalizzazione e di commercializzazione dell’arte teatrale, che non sarebbe più un’arte ma un’industria con pretese artistiche (come quella cinematografica).


a.n.te. (aria nuova teatro)