Pagina dedicata all'articolo di approfondimento dal titolo: Qualche riflessione sulla conferenza di Adolfo Morganti

QUALCHE RIFLESSIONE SULLA CONFERENZA DI ADOLFO MORGANTI



Pochi giorni fa abbiamo pubblicato il video della conferenza (la prima della serie di dodici approfondimenti dedicati al nostro progetto di rappresentazione teatrale del dramma vichingo Erik di Sri Aurobindo) e abbiamo incominciato a ricevere alcuni riscontri da parte di persone interessate.

Complessivamente — e noi conveniamo con essi — hanno trovato la conferenza del prof. Morganti stimolante e bene articolata. In particolare, è stata apprezzata la sua capacità di sintesi che, nell’affrontare un tema così vasto e complesso, è particolarmente opportuna. Al tempo stesso, sono state espresse alcune riserve, a proposito delle quali ci hanno gentilmente chiesto delucidazioni. Approfittiamo quindi per rispondere pubblicamente, in modo da poter condividere tali riflessioni nel modo più ampio possibile.

La più frequente segnalazione che abbiamo ricevuto, riguarda il nome di Sri Aurobindo: per quale motivo il relatore omette lo “Sri” iniziale, con cui lo stesso Sri Aurobindo era solito firmarsi? Ovviamente, noi non sappiamo rispondere a questa domanda, che andrebbe recapitata al relatore. Teniamo tuttavia a precisare che gli abbiamo esplicitamente raccomandato (come faremo con tutti gli altri che inviteremo a questo ciclo tematico) di utilizzare il nome completo, se non altro per rispettare la volontà di Sri Aurobindo. Purtroppo, abbiamo constatato che Morganti ha preferito non tenere conto della nostra richiesta e, ovviamente, noi non intendiamo obbligare chicchessia! Esprimiamo però un certo rammarico.

La seconda questione che alcuni di voi ci hanno sottoposto, riguarda il pregiudizio di Morganti (purtroppo assai diffuso in Italia presso certi accademici poco edotti in materia) secondo il quale Sri Aurobindo sarebbe soltanto un esponente di quella che essi stessi hanno catalogato come “l’intellettualità induista”. Anche su questo punto, cercammo di spiegare a Morganti (quando gli proponemmo la conferenza) che Sri Aurobindo, pur essendo un supremo intellettuale, è principalmente una personalità spirituale (di una spiritualità che non disdegna affatto la Materia e che, anzi, la considera come una espressione — per quanto attualmente imperfetta — dello Spirito e, conseguentemente, Sri Aurobindo si è messo all’opera per liberare la Materia da tutte le sue deformazioni, in modo da renderla espressione idonea e incontaminata dello Spirito). Da anni (da decenni, ormai!) cerchiamo di sensibilizzare docenti universitari e studiosi in questa direzione, ma i pregiudizi sono difficili da sradicare. Inoltre, e parallelamente, ci prendemmo cura di precisare al relatore che Sri Aurobindo non appartiene ad alcuna religione, avendo basato la propria vita sull’esperienza diretta e sulla pura episteme, avversando qualsivoglia forma di catechesi e di dogma.

Un ulteriore suggerimento che abbiamo raccomandato calorosamente a Morganti (e che stiamo fin da ora raccomandando ai prossimi relatori), è di effettuare quanti più collegamenti possibili con il testo del dramma che andremo a rappresentare (premurandoci di fornire una copia diversi mesi prima della conferenza stessa). A parte un breve accenno iniziale e finale, il relatore ha preferito non prendere in considerazione nemmeno questa nostra terza e ultima richiesta.

A voler essere pignoli, è anche da aggiungere che Morganti, nel corso di questa sua conferenza, ha espresso un paio di giudizi critici sull’Illuminismo e sulla Rivoluzione francese, che per noi sono assolutamente impossibili da condividere. Il movimento filosofico noto con il nome di Illuminismo è criticabile come qualunque altro movimento filosofico o politico o di altro tipo, ma la sentenza di Morganti è tanto lapidaria quanto inesatta a proposito della «egemonia culturale dell’Illuminismo, per cui tutte le civiltà abbastanza diverse, distanti dal naturalismo francese erano polvere della storia, cascami del passato che andavano semplicemente azzerate per ripartire da capo» (sic) — un simile assunto è decisamente falso e tendenzioso. Nessun illuminista francese — a partire dai quattro maggiori esponenti: Voltaire, Rousseau, Diderot, D’Alambert — ha mai avuto l’assurda presunzione di ritenere la cultura francese o europea la sola degna o la sola possibile e che occorresse fare tabula rasa e partire da lì. Al contrario, hanno sempre espresso il massimo interesse e rispetto nei confronti di culture extraeuropee — soprattutto le orientali. Ci limitiamo qui a riportare una citazione di Voltaire: «Sono convinto che ogni cosa provenga dalle rive del Gange […]. Non dovremmo certo essere noi, che quando questi popoli erano civili e saggi eravamo soltanto dei barbari, a mettere in discussione la loro antichità.» (Lettres sur l’origine des sciences et sur celle des peuples de l’Asie, 1777).

Quanto alla Rivoluzione francese, Morganti è noto per le sue posizioni reazionarie, apertamente ostili nei confronti della Rivoluzione francese, come pure — almeno in parte — del Risorgimento italiano (con particolare accanimento verso l’operato di Giuseppe Garibaldi, probabilmente per l’attitudine anticlericale del massimo fautore dell’unificazione italiana, che noi invece condividiamo appieno). Non ci si fraintenda: non siamo certo inclini a considerare Garibaldi (né Mazzini, ancor meno Cavour) come icone intoccabili, prive di pecche e non passibili di critiche, ma resta un fatto indiscutibile che il loro impegno abbia reso possibile la libertà della nostra nazione dal giogo straniero (monarchie e papi saldamente coalizzati fra loro nel tenere le masse nell’oppressione e nell’asservimento). Così come, nonostante una innegabile mania di protagonismo (che negli anni assunse le tinte di una megalomania decisamente fastidiosa), non si può non riconoscere in Napoleone Bonaparte colui che ha saputo conferire una forma concreta agli ideali progressisti dell’Illuminismo e alle giuste rivendicazioni sociali del popolo europeo. Ancora oggi, i conservatori (tra i quali poniamo Morganti) faticano ad accettare certi fatti della storia.

Al netto di simili dettagli (per nulla trascurabili), la conferenza di Morganti resta un valido sprone in direzione di un approfondimento sull’appartenenza della cultura norrena alla grande famiglia euroasiatica. Conoscendo le sue competenze in materia, non abbiamo esitato a proporgli tale tematica, sicuri che avrebbe suscitato nei fruitori un indubbio interesse; ribadiamo al contempo il nostro essere fermamente persuasi che il suo apporto sarebbe stato ancora più rilevante se avesse voluto prendere in considerazione i nostri suggerimenti, tanto minuti quanto preziosi.

Cercheremo di ribadire meglio l’importanza di tali raccomandazioni ai prossimi relatori, facendo appello alla più rigorosa onestà intellettuale ma, ovviamente, non possiamo garantire nulla in tal senso. Ciascuno è libero di esprimersi come meglio ritiene opportuno, assumendosi le responsabilità delle proprie opinioni e dei propri eventuali sofismi o paralogismi.

Grazie a tutti!

Il comitato direttivo del

Centro studi e ricerche Freya